L’ipertermia nel quadro delle immunoterapie

Le evidenze scientifiche hanno chiaramente dimostrato che l’ipertermia regionale può essere considerata un efficace potenziatore della radioterapia. Il rapporto benefici/effetti collaterali si è dimostrato positivo anche in combinazione con molti protocolli chemioterapici. Assolutamente minore è invece la disponibilità di prove che dimostrino il ruolo efficace dell’ipertermia come sostegno alle terapie immunologiche. Ciò nonostante, l’ipertermia rappresenta per sua natura, ovvero con l’aumento della temperatura del tessuto nell’intervallo di valori di riferimento simili a febbre, una misura che favorisce la risposta immunologica. Qui di seguito ne illustriamo le motivazioni. Innanzi tutto, ora il razionale delle nuove immunoterapie (inibitori di checkpoint e terapie CAR-T) è differente. Nel caso degli inibitori di ckeckpoint, l’azione si basa - per così dire - sulla rimozione dell’inibizione che le cellule tumorali sono in grado di esercitare sui linfociti T del sistema immunitario adattivo. Le cellule presentanti l’antigene che sono venute in contatto con una cellula tumorale, non vengono più inibite nell’attivazione e i linfociti T inizialmente aspecifici possono essere indirizzati specificamente ad attaccare in modo mirato tali cellule tumorali. Il meccanismo attraverso il quale ciò accade è costituito da piccole molecole sulle membrane cellulari. Nella prima generazione di questa categoria, l’anticorpo monoclonale Ipilimumab, attraverso un blocco di CTLA-4 vengono, per così dire, fermati i recettori inibenti CD80/CD86 nelle cellule presentanti l’antigene e CD28 sulle cellule T; di conseguenza ora in questi checkpoint nei linfonodi, diventano possibili le interazioni tra le nostre cellule presentanti l’antigene e le nostre cellule T. Il risultato è che le cellule T vengono attivate in modo che possano trovare e aggredire il loro target nel tessuto. Negli altri anticorpi conosciuti, Nivolumab e Pembrolizumab, il meccanismo è leggermente diverso, ma analogo in termini di principio e azione. I linfociti T attivati possiedono una proteine sulla membrana cellulare, la cosiddetta “programmed cell death1 (PD-1)”. Se ad incontrare questo recettore è un’altra proteina (PD-L1), questa cellula T viene disattivata. Solitamente, PD-L1 viene secreta dalle cellule presentanti l’antigene per tenere sotto controllo le proprie cellule T in modo che non proliferino. Tuttavia, si è scoperto che anche le cellule tumorali sono in grado di generare questa PD-L1 e quindi proteggersi. L’anticorpo interviene proprio qui e inibisce la disattivazione. In questo modo, questa cellula T continua a rimanere attiva. Con queste premesse terapeutiche, il problema è costituito dai possibili effetti collaterali che possono risultare da una risposta immunitaria non più sottoregolata; la conseguenza può essere costituita da reazioni autoimmuni eccessive. **Allora l’ipertermia come potrebbe supportare questi processi?** Sostanzialmente, sono tre le considerazioni che fanno sembrare utile una terapia coadiuvata da ipertermia: a. Lo stimolo immunologico di base dovuto all’aumento di temperatura b. Un migliore accesso alla matrice (cosiddetto trafficking linfocitario) c. Il supporto mirato del sistema immunitario adattivo **Riguardo a. Lo stimolo immunologico di base** Nonostante tutti i vantaggi di terapie mirate in modo specifico, vale allo stesso modo che tutto l’aiuto per il nostro sistema immunitario completo (adattivo e primario) può essere solo di beneficio per un paziente. Come misura naturale, oltre all’alimentazione, sport moderato e fasi di relax, è utile anche uno stimolo della temperatura e -se utilizzata in modo corretto- senza effetti collaterali avversi. G.Multhof ha potuto dimostrare che le proteine da shock generate e distribuite attraverso l’ipertermia sono un prezioso stimolo per le cellule killer naturali. Il nostro sistema immunitario lavora in modo più efficace in un intervallo di temperatura più elevato. Non senza motivo, l’evoluzione ha prodotto la febbre come aiuto e supporto al nostro sistema immunitario naturale. L’esperienza di tanti anni ha dimostrato che l’elettroipertermia regionale è efficace anche in situazioni di infiammazione cronica. Un’importante effetto collaterale che, in alcuni casi limita il trattamento con inibitori di checkpoint, consiste nel fatto che i checkpoint immunologici antinfiammatori vengono bloccati, ovvero è possibile si verifichi facilmente una sovrareazione del sistema immunitario e quindi effetti collaterali autoimmuni avversi di natura completamente diversa. Forse l’ipertermia elettromagnetica può svolgere un’azione attenuante in questo caso? Attualmente non sono disponibili né studi né ricerca preclinica, se si considera comunque l’analogia nell’influenza sulle infiammazioni croniche, in questo caso non si potrebbe ipotizzare un potenziale sostanzialmente simile? Quest’ultima considerazione è chiaramente ipotetica, ma varrebbe la pena di approfondire il tema. **Riguardo b. Trafficking linfocitario** Le nuove strategie mirate di immunoterapia si basano sul sistema immunitario adattativo e, in questo caso particolare, sui linfociti T attivati specificamente. Qui avvengono diversi movimenti di cellule nel corpo: dal tumore al linfonodo e viceversa e nella matrice alla ricerca di possibili cellule tumorali già disperse. Le protagoniste sono le cellule presentanti gli antigeni, le cellule dendritiche e ovviamente le cellule T. L’ipertermia regionale supporta questo processo sotto diversi punti di vista: - Attraverso il calore il tessuto target si espande leggermente. Un utile effetto è che la pressione interstiziale si riduce nella matrice. Le cellule linfatiche possono muoversi più facilmente. - I vasi sanguigni si dilatano anche nelle loro ramificazioni; allo stesso modo è possibile una maggiore infiltrazione. - E, attraverso la lieve dilatazione delle pareti dei vasi nell’area target, viene facilitata anche la permeabilità dei vasi. In definitiva, nella maggior parte dei casi, l’area target si trova all’esterno del sistema circolatorio. **Riguardo c. Supporto mirato del sistema immunitario adattivo** Si presuppone più o meno il primo importante passo, ovvero che le cellule presentanti l’antigene riconoscano a priori come sospetta una cellula tumorale. Questo primo passo è tutt’altro che banale. Tutte le possibilità di rendere riconoscibili le cellule tumorali sono preziosi contributi al successo della terapia. E qui trova le sue basi anche l’ipertermia! Le cellule tumorali crescono rapidamente e spesso sono meno resistenti alle condizioni ambientali avverse rispetto alle cellule normali. Spesso mostrano un’utilizzazione dell’energia (effetto Warburg) più semplice e molto meno efficiente, e quindi sono più sensibili allo stress. Una forma di stress è il calore. Già un aumento della temperatura da uno a due gradi Celsius, determina la formazione di proteine da stress, le cosiddette proteine da shock termico (HSP). Mentre questo processo avviene in linea di principio in tutte le cellule, la sua espressione sulla membrana cellulare delle cellule tumorali sembra molto più intensa (Multhoff, Gaipl). Ora, queste HSP esposte sulla membrana cellulare - è stato studiato l’effetto con proteine HSP70 E HSP90 - sono un segnale riconoscibile per il sistema immunitario adattivo ma anche un segnale EAT-ME per le cellule killer naturali del sistema immunitario primario. Anche una densità superiore di HSP nella matrice è indice importante di una maggiore attività delle cellule presentanti l’antigene e delle cellule dendritiche nella relativa area target. Il calore e il gradiente di temperatura generato dall’ipertermia agisce quindi in maniera selettivamente più specifica sulle cellule tumorali, rendendole più facilmente riconoscibili rispetto alle cellule normali. In questo modo, si migliora notevolmente la condizione di partenza necessaria per un riconoscimento selettivo del materiale cellulare maligno. **Una sinergia ancora migliore con una radioterapia selettiva** Se ora, in questo contesto, si potesse somministrare anche una dose di radiazioni selettiva nell’area target, si potrebbe conseguire un ulteriore effetto. Una delle conseguenze primarie della radioterapia è anche la morte cellulare necrotica e non solo apoptotica. Le cellule soggette a morte necrotica determinano a loro volta una risposta notevolmente più forte del sistema immunitario adattivo. La combinazione con l’ipertermia è assolutamente ideale proprio per la percentuale relativa ancor più elevata di cellule necrotiche (Frey et al). Per la suddetta strategia sarebbe adatto un protocollo differente rispetto all’usuale applicazione della radioterapia. In un frazionamento quotidiano, anche le cellule APC, le cellule dendritiche e, successivamente, le cellule T migranti sarebbero interessate dal danno da radiazioni. Pertanto, in questo contesto, l’ideale sarebbe un’unica irradiazione ad alto dosaggio che, se necessario, potrebbe essere ripetuta dopo 8-10 giorni. **Riepilogo** L’ipertermia regionale ha guadagnato - con merito - la fama di potente sensibilizzante per la radioterapia e anche per molti ma non per tutti i protocolli chemioterapici. L’ipertermia stessa svolge un’azione stimolante sul sistema immunitario della persona. Le argomentazioni secondo quali questa opzione di termoterapia integrata sia vantaggiosa in termini sinergici per la nuova generazione di immunoterapie sono altrettanto plausibili ed è prevedibile che, nei prossimi anni, ciò possa essere dimostrato su base di evidenze anche attraverso studi. L’ipertermia ha molto più potenziale di quello che attualmente le viene riconosciuto attraverso la rilevanza clinica. La situazione sta comunque cambiando, anche se lentamente, anno dopo anno e, attualmente, è già possibile parlare di accettazione per la combinazione dell’ipertermia con la radioterapia. Lo stesso potenziale sembra essere prevedibile anche per la combinazione con la nuova generazione di immunoterapie.

Martin Rösch

Con il suo know-how, Martin Rösch è collegato al Celsius42 già dalla sua costituzione. Formalmente indipendente come collaboratore freelance, si è occupato per molti anni delle domande dell’applicazione clinica. Insieme con i clienti, e in particolare con il Dr. Hüseyin Sahinbas, ha eseguito tentativi preclinici in merito alla temperatura ed ha contribuito allo sviluppo di profili di resa. Ha partecipato attivamente alla definizione di studi clinici e nel corso dei tanti anni di lavoro ha raccolto esperienze visitando clienti e confrontandosi con utilizzatori di sistemi per ipertermia nostri e di altre marche. Martin Rösch è stato uno dei relatori invitati a congressi oncologici sull’ipertermia in più di una decina di paesi ed ha pubblicato testi sull’argomento in riviste specializzate con revisione paritaria.

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